Mario Monicelli, 95 anni di racconti italiani

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Mario Monicelli, 95 anni di racconti italiani

b_monicelli__capelli_lunghi_radio_svizzeraSe ne è andato velocemente, così come aveva vissuto, Mario Monicelli, a 95 anni. Una scelta autonoma, così come era tutto il suo cinema. Politica, temi sociali, impegno a volte di parte, ma sempre tutto firmato, voluto, deciso personalmente. Ha raccontato l’Italia come nessuno e, soprattutto, con sincerità, passione, ironia, graffio. L’Italia così come era, come è, come siamo. Dopo di lui altri raccontatori, di certo bravi e bravissimi; ma nessuno così indipendente proprio perché calato nell’anima degli anni che filmava, nei luoghi, nei personaggi. Un’Italia fatta di persone, di individui, di romanzi personali. Anche la grande storia, “La grande guerra”, la grande crociata è fatti di singoli, tutti differenti. Le tendenze, le mode, gli stili Monicelli li ha ignorati, dettandone dei suoi personalissimi, irraggiungibili. Inimitabile perché unico; aggressivo con humor; sarcastico quanto basta, sincero. E così, sinceramente addolorato di essere malato con un tumore in fase terminale, ha deciso in autonomia e libertà di chiudere e di farlo oltrepassando una finestra al quinto piano dell’Ospedale romano “San Giovanni”, lunedì 29 novembre 2010, dopo 95 anni, alle ore 21. Puntuale e deciso, come sempre.

(GAP)

 

 

 

 

Da Fonte ANSA:

Addio a Monicelli, saluto laico a Rione Monti
Nessun funerale ma un saluto nel Rione Monti, nel cuore di Roma, dove viveva
30 novembre, 18:14

 

ROMA – “Grazie Mario” e una foto col volto di Mario Monicelli, avvolto da una sciarpa rossa. Questa la locandina che è affissa in molti dei negozi del rione Monti per informare che l’ultimo addio a Mario Monicelli ci sarà domani, alle 10, in Piazza Madonna dei Monti, dove lo scorso agosto furono proiettati molti dei suoi film più vecchi. “Era er più” sintetizza in tutta la sua romanità il fruttivendolo, dove Monicelli andava finché la salute glielo ha permesso, circa due mesi fa. “Credo che in ospedale ci fosse andato da qualche giorno – racconta l’uomo – perché fino alla settimana scorsa la sua badante all’alba veniva a prendere qualche zucchina e qualche carota per lui. Mi ha sempre detto che lui, da Monti, non se ne sarebbe mai andato, e così è stato. Era una persona semplice, qui in queste strade non si dava arie, era come uno di noi, che quasi ci dimenticavamo che era così famoso”. “Con lui si parlava di tutto, soprattutto mia moglie ci chiacchierava tanto – racconta – spesso lo vedevo andare a prendere con gli amici un bicchiere di vino qui di fronte. Non é vero che era burbero, quella era solo l’apparenza”.

NESSUN FUNERALE – Non ci sarà nessun funerale per il regista Mario Monicelli, che ieri è morto suicida nell’ospedale San Giovanni di Roma. Lo ha detto alla stampa il nipote Niccolò. Monicelli – ha detto il nipote – “sarà portato a Monti, il rione in cui viveva, per un ultimo saluto ai monticiani. E poi sarà portato alla casa del cinema, dove riceverà il saluto di tutti quelli che vorranno rivolgergli un ultimo omaggio”. Il nipote del regista, che stamattina é insieme al resto della famiglia alla camera mortuaria dell’ospedale San Giovanni, ha anche precisato che la salma di Monicelli sarà cremata “in forma privata alla presenza della sola famiglia”. “La famiglia non ritiene necessario fare un funerale” ha aggiunto, sottolineando che tutto verrà fatto “nel rispetto della volontà di Mario Monicelli e di tutta la famiglia”.

NIPOTE: NON TRAGICA FINE,RICORDATELO CON SUOI FILM – “Non è una tragica fine, è un uomo che ha vissuto”: così Niccolò Monicelli, il nipote del regista che ieri è morto suicida nell’ospedale San Giovanni di Roma, respinge l’idea che il gesto del ‘grande vecchio’ del cinema italiano sia letto in una chiave drammatica. “Mi sembra che di messaggi ne abbia lasciati tanti – risponde a chi gli chiede se Monicelli abbia in qualche modo manifestato alla fine le sue intenzioni alla famiglia -: ricordatelo con i suoi film”. Alla camera mortuaria erano presenti l’ultima compagna, Chiara Rapaccini, e le tre figlie.

PROCURA ROMA APRE FASCICOLO SU SUICIDIO – La procura di Roma ha aperto un fascicolo per fare luce sul suicidio di Mario Monicelli. “Atti relativi a”, formula utilizzata per i procedimenti privi di ipotesi di reato, l’intestazione del fascicolo. Il magistrato di turno ha compiuto, in nottata, un sopralluogo nel reparto di Urologia dell’ospedale San Giovanni, dove era ricoverato l’anziano regista cinematografico.

IL MAESTRO CAUSTICO CHE HA RACCONTATO L’ITALIA
di Alessandra Magliaro

ROMA – Negli ultimi mesi ha abbracciato la protesta dello spettacolo contro i tagli alla cultura, ha incitato i giovani a ribellarsi per un futuro migliore, si è lamentato che il cinema di oggi non riusciva a raccontare l’Italia come è, ma stasera non ce l’ha fatta a guardare al suo futuro. Mario Monicelli si è tolto la vita lanciandosi dall’ospedale San Giovanni di Roma, dove era ricoverato.
Era nato il 15 maggio del 1915 a Viareggio, figlio del critico teatrale e giornalista Tommaso e dopo la laurea in storia e filosofia a Pisa aveva esordito nel cinema nel 1932 con il corto, firmato insieme ad Alberto Mondadori, Cuore rivelatore. E’ stato uno dei padri della commedia italiana, con Dino Risi, Steno, Luigi Comencini.
Negli ultimi anni, perché era un maestro del cinema e per ragioni anagrafiche, gli era toccato l’ingrato compito di commentare i colleghi che se ne andavano: dal Tiberio Murgia, Ferribotte di uno dei suoi capolavori I soliti ignoti, ai grandi sceneggiatori con cui aveva lavorato tante volte, Suso Cecchi D’Amico e Furio Scarpelli e Piero De Bernardi, per citare solo quelli di quest’anno. Monicelli, come era nel suo carattere, rispondeva con arguzia, un pizzico di cinismo, raccontava aneddoti, rifuggiva ogni sentimentalismo per tirare fuori il meno ovvio di ciascuno di loro, così come avrebbe preferito si dicesse di lui stesso. Negli ultimi anni la vena amarognola e caustica di Monicelli più che nei film era venuta fuori nelle sue uscite pubbliche: era stato al Viola Day di febbraio e al primo no B day nel dicembre scorso a Piazza San Giovanni, aveva urlato ai giovani di tenere duro: “viva voi, viva la vostra forza, viva la classe operaia, viva il lavoro. Dobbiamo costruire una Repubblica in cui ci sia giustizia, uguaglianza, e diritto al lavoro, che sono cose diverse dalla libertà” ed era stato a Montecitorio con i colleghi nel luglio 2009 per protestare contro i tagli al Fus. L’Italia era per lui “una penisola alla deriva”. Monicelli non aveva paura di tirare fuori quello che sentiva, senza false diplomazie. Questo era sempre stato il suo carattere e forse a questa verità, dolorosa come il cancro alla prostata che lo aveva colpito, non ha resistito stasera.
Una volta – a Venezia nel 2008 – scherzò, ma neppure tanto perché lui era fatto così: “Non vedo l’ora scompaia De Oliveira. E’ stato sempre la mia ossessione. E’ più anziano di me – il regista portoghese è del 1908 ndr – , più bravo di me ed è stato invitato anche a più festival di me”. Questo il Monicelli più recente, barricadero, poi il Monicelli che passerà alla storia, il regista della Grande Guerra e dei Soliti Ignoti. Nel 1937, sotto lo pseudonimo di Michele Badiek, si era cimentato per la prima volta con il lungometraggio (Pioggia d’estate) e aveva conosciuto Macario e Totò che lo ingaggerà nella sua squadra di autori, Fece amicizia con Steno, si avvicina ai circoli della sinistra antifascista. Ma poi si arruola (in cavalleria) e attraversa indenne le campagne d’Albania e d’Africa. Nell’autunno del ’43, tornato in Italia, lascia l’uniforme, arriva a Roma, fiancheggia anche la Resistenza insieme all’amico anarchico Comunardo. Erano già i giorni di Roma città aperta, si affermava il neorealismo e ben presto, a Monicelli e Steno richiamati in servizio per Totò dal produttore Carlo Ponti, viene in mente di adattare la maschera del grande comico alle storie di vita che facevano furore.
Nasce così nel 1949 Totò cerca casa, esordio ufficiale nella regia sia di Monicelli che di Steno, grandissimo successo e farsa passata alla storia come “una delle più belle parodie del neorealismo mai realizzate”. E’ impossibile ripercorrere tutta la sua carriera, film dopo film, successo dopo successo, con oltre 66 regie e più di 80 sceneggiature. Basti dire che al trionfo dei successivi Vita da cani e Guardie e ladri (premiato a Cannes per l’interpretazione e la sceneggiatura nel ’51) corrispondono i problemi con la censura sia per questo che per Toto’ e Carolina. Dall’anno successivo cessa il sodalizio con Steno e dal ’54 quello sistematico con Toto’. Al ritmo di più di un film all’anno Monicelli approda, nel 1958 ad uno dei successi più limpidi: I soliti ignoti (nomination all’Oscar), l’ultimo film con Totò e il primo con Vittorio Gassman ‘sdoganato’ come mattatore comico. Del 1959 è un capolavoro assoluto come La grande guerra (altro film avversato dalla censura e poi trionfatore a Venezia con il Leone d’oro), del 1963 il doloroso I compagni con Mastroianni, del ’66 l’irripetibile invenzione de L’armata Brancaleone.
Sono gli anni dell’amicizia con Dino Risi, degli scontri con Antonioni, del controverso rapporto con Comencini, del trionfo della commedia all’italiana e dei ‘colonnelli della risata’. Nel 1968 Monicelli inventa Monica Vitti attrice comica per La ragazza con la pistola, nel ’73 ironizza sulle voglia di golpe all’italiana con Vogliamo i colonnelli, nel 1975 raccoglie l’ultima volontà di Pietro Germi che gli affida la realizzazione di Amici miei. Molto apprezzato anche in America, riceve ben tre nomination all’Oscar (oltre che per I Soliti ignoti candidato come miglior film straniero, per le sceneggiature de I compagni e Casanova 70). Nel 1977 recupera la dimensione tragica della commedia sceneggiando il libro di Vincenzo Cerami Un borghese piccolo piccolo. Negli annì80, da ricordare, fra i tanti film, Il Marchese del Grillo e l’unanime consenso per Speriamo che sia femmina.
Nel 1991, riceve il Leone d’oro alla carriera. L’anno dopo con il feroce Parenti serpenti dimostra di saper leggere le trasformazioni della società italiana con l’acume e la cattiveria di sempre. E’ del 2006 invece il tanto desiderato ritorno sul set di un film, rallentato da ritardi e difficoltà produttive, con Le rose del deserto, liberamente ispirato a Il deserto della Libia di Mario Tobino e a Guerra d’Albania di Giancarlo Fusco.