Dieter Roth Björn Roth “Islands”. Hangar Bicocca

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Dieter Roth Björn Roth “Islands”. Hangar Bicocca

dieter-roth2Dieter e Björn Roth all’Hangar Bicocca visti da Francesca Piermattei

Se, dopo aver diretto la Tate Modern di Londra per sette anni, Vicente Todolì ha deciso di approdare all’Hangar Bicocca di Milano in qualità di artistic advisor c’è una buona possibilità che abbia intravisto in questo singolare ed enorme spazio ottime potenzialità. 15,000 metri quadrati di spazio dedicato all’arte contemporanea rendono l’Hangar un unicum europeo e Todolì è cosciente di ciò e pronto ad usufruirne. Il nuovo artistic advisor ha già sottolineato che i suoi progetti per l’Hangar Bicocca non seguiranno tematiche, a suo avviso limitanti per una crescita internazionale, ma si baseranno sul presupposto che questo spazio non si presta alla pittura e alla fotografia ma piuttosto a installazioni, ambienti, proiezioni e rappresentazioni materiche.

Ebbene, le prime due mostre inaugurate da Todolì sono evidentemente coerenti con queste dichiarazioni; dopo la performance musicale “The Visitors” dell’artista islandese Ragnar Kjartansson, il 6 novembre è stata inaugurata, con grande clamore, la mostra “Islands” di uno dei protagonisti dell’avanguardia artistica della seconda metà del Novecento, Dieter Roth ( Hannover, 1930 – Basilea, 1998 ).

Nel titolo della mostra, accanto al nome di Dieter Roth, c’è quello di suo figlio Björn Roth, artista anch’esso e depositario della “verità” di suo padre: Björn infatti affianca suo padre dagli anni ’70 ed ora si occupa personalmente di allestire queste grandi e complicate mostre.

La retrospettiva organizzata dall’Hangar Bicocca è ricca di opere, un centinaio, molte delle quali sono vere e proprie installazioni-sculture costituite da una molteplicità di oggetti quotidiani ammassati tra loro su basi di legno chiaro, mobili grossolani e tavoli da lavoro appartenuti all’artista, create attraverso la stratificazione di materiali eterogenei incorporando tutti gli oggetti utilizzati dall’artista durante la realizzazione dell’opera stessa. La produzione di queste opere, spesso definite “material pictures”, prende spazio proprio a seguito dell’intensificarsi della collaborazione tra Dieter e suo figlio. L’esempio più significativo è Tischruine ( Large Table Ruin ), opera che nasce dalla trasformazione in installazione del tavolo da lavoro dello studio di Stoccarda: iniziata nel ’78 da Dieter e suo figlio, è concepita come un processo artistico ininterrotto di creazione e decadenza e va modificandosi ogni volta che viene esposta attraverso l’aggiunta del materiale di scarto prodotto dall’opera stessa secondo un’idea di perenne trasformazione. La sensazione dello spettatore di fronte a quest’opera è quello di non trovarsi più nel freddo ed enorme spazio espositivo dell’Hangar Bicocca, bensì nello studio di Roth, intriso di un’atmosfera umana, familiare, dovuta al disordine, alla presenza di oggetti comuni, ai materiali da lavoro dell’artista.

Björn Roth svolge in prima persona il difficile compito di allestire le mostre ma non senza l’aiuto dei suoi figli ( Ennar e Oddur Roth ) e di una squadra di assistenti scelti: insieme hanno realizzato, appositamente per questa mostra, The Relatively New Sculpture un’installazione architettura-scultura su due piani accessibile dallo spettatore che, circondato da una gran quantità di oggetti quotidiani e strumenti musicali ( la musica ha sempre avuto un ruolo importante nell’opera di Dieter Roth e l’artista ha tentato in varie opere di tradurre l’alfabeto in suono.), può avere una visuale sopraelevata sull’intero Hangar.

Dopo aver socchiuso le pesanti tende nere che permettono l’accesso alla mostra, la prima opera che i visitatori incontrano sul loro percorso potrebbe confondere le idee: Economy Bar è un bar realmente funzionante, con tutte le caratteristiche che ci si aspetta: un bancone, un barista, dei tavoli dove sorseggiare birra o vino, luci soffuse; i visitatori possono, anzi , devono sfruttarlo per poter immergersi a pieno nel pensiero artistico di Roth.

Vicino ma mai realmente partecipe del movimento Fluxus, Roth condivide il concetto di sconfinamento dell’atto creativo nel flusso della vita quotidiana e la rivendicazione dell’intrinseca artisticità dei gesti più comuni ed elementari. Questo è uno dei fili conduttori del suo lavoro ed è evidente in molte tra le opere esposte. Certamente la più significativa è Solo Szenen ( Solo Scenes ) un’opera audiovisiva composta da 131 monitor che ripropongono scene di vita quotidiana di Roth stesso ( mangiare, dormire, lavorare, sbadigliare, lavarsi…), registrate tra la Svizzera, la Germania e l’Islanda durante il suo ultimo anno di vita.

L’autobiografia di Roth è infatti spesso protagonista delle sue opere, anche in quelle di accumulazione per realizzare le quali a partire dalla seconda metà degli anni ’60 l’artista inizia un lungo processo di archiviazione di qualsiasi cosa, coinvolgendo anche amici e collaboratori. Gli oggetti di uso comune vengono raccolti e collezionati da Roth in quanto testimoni del tempo che passa portando con se trasformazione, decadenza e disintegrazione e trasformando gli oggetti in materiali di scarto. Queste idee evidenziano anche la sua vicinanza all’artista Spoerri, esponente della Eat Art, con cui condivise anche un sentimento d’amicizia. Non stupisce quindi che per Roth il cibo abbia il valore di un qualsiasi materiale artistico, anzi sia preferibile in quanto maggiormente soggetto a consumazione e metamorfosi, permettendo così all’opera di acquisire nuove forme inattese. Percorrendo la mostra lo spettatore viene improvvisamente avvolto da un aroma inconfondibile, dolce, fortemente presente, quello del cacao; solo in un secondo momento l’occhio cade sulle centinaia di autoritratti di Roth realizzati col cioccolato e impilati su piastre di vetro, Selbstturm ( Self Tower ): è stato Björn Roth stesso, con l’aiuto dei numerosi collaboratori a fondere bene 4 tonnellate di cioccolato all’interno degli spazi dell’Hangar Bicocca, liberando così nell’atmosfera dello spazio espositivo il profumo dolciastro.

Accanto agli stampi di cioccolato, numerose sculture di zucchero colorato Zuckerturm ( Sugar Tower ), realizzate anch’esse secondo la logica dell’utilizzo di materiali disintegrabili ma anche secondo il concetto di multiplo, fondamentale nelle opere di accumulazione, collezionismo e archiviazione.

Anche se il titolo di questa grande retrospettiva, “Islands”, può sembrare criptico, non c’è niente per Roth di più mutevole delle isole. L’Islanda, la sua seconda patria, è una terra il cui profilo può cambiare radicalmente a causa di un’eruzione vulcanica che può addirittura provocare la comparsa di nuove isole proprio come accadde nel 1963 con l’isola di Surtsey: realizzando delle opere di grafica in cui ritrae il profilo di quest’isola adagiata su di un piatto, con lo scopo di richiamare l’idea di cibo fumante, Dieter fonde così due delle principali tematiche della sua opera.

Todolì ha magnificamente descritto la mostra come ” le isole che fanno da arcipelago nell’oceano di Dieter”. (F.P.)

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